Formazione professionale in ricerca e pratica
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20 anni di riforme della formazione professionale di base: interrogativi ed esigenze d’intervento

Oltre un approccio per tentativi ed errori

L’attuale Legge sulla formazione professionale, entrata in vigore quasi vent’anni fa, ha dato il via a un gran numero di innovazioni a cui, nell’ambito dei Piani di formazione e delle Ordinanze, si è mirato applicando una strategia pragmatica per tentativi ed errori. Per quanto queste innovazioni fossero ampie, è sorprendente che finora non si siano effettuate articolate valutazioni teoriche ed empiriche dello sviluppo e dell’implementazione di Ordinanze e Piani di formazione e dei risultati ottenuti. Così, senza che si svolgesse un dibattito critico, si è potuto imporre il modello cosiddetto per competenze operative quale paradigma strutturante delle disposizioni adottate. Fra le conseguenze di questo orientamento emergono la marginalizzazione di un sapere strutturato sotto forma delle materie tradizionali, il predominio di una didattica impostata radicalmente per obiettivi di apprendimento e, in generale, l’imporsi di una logica economica e di controllo nella formazione professionale svizzera. Per il futuro della formazione professionale servono un bilancio critico e un dibattito costruttivo.


Per assicurare la qualità dell’insegnamento si passò dal cosiddetto input, determinante fino a quel momento, al cosiddetto output che, quale espressione dello Zeitgeist, impose gradualmente a tutti i livelli del sistema educativo la prevalenza di una logica della rendicontazione e del controllo.

Negli ultimi vent’anni, la formazione professionale di base è stata oggetto di riforme di vasta portata. A partire dalla legge sulla formazione professionale (2002), la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI, allora UFFT) ha avviato l’introduzione delle Ordinanze in materia di formazione (ORFO) e dei Piani di formazione. Ciò ha permesso l’ottenimento di risultati ragguardevoli nell’ambito della revisione dei curriculi, e nel frattempo molte professioni hanno già avviato una seconda o addirittura una terza fase di rinnovamento.

La ricostruzione del processo di riforma mette in luce risultati interessanti da cui sorgono interrogativi critici così come necessità di intervento.[1]

1 Riforme curricolari attraverso un approccio per tentativi ed errori

All’inizio del processo di riforma, non esistevano procedure praticabili per lo sviluppo dei curricoli per la formazione professionale. Ciononostante, l’UFFT riuscì a elaborare un piano generale per la riforma degno di nota, ma nel merito delle procedure, l’ufficio procedette per così dire a tastoni, cercando di gestire la situazione in modo pragmatico. Si è trattato di una strategia per tentativi ed errori perfettamente ritracciabile sulla base del cosiddetto «Manuale delle ordinanze» (prima versione nel 2005, ultima nel 2017). Le basi dei primi concetti utilizzati erano riconducibili da un lato alla discussione sul ruolo dei curricoli negli anni 1970 e, dall’altro, al cosiddetto «Lernfeldkonzept» (Modello dei campi di apprendimento), all’origine della riforma in Germania a metà degli anni ’90. Se ne parlerà più avanti. A questo punto è tuttavia opportuno ricordare alcuni concetti indispensabili per la comprensione delle riforme.

Dopo un periodo espansivo nel dopoguerra, i sistemi educativi vennero confrontati negli anni ‘70 con l’acuirsi di una crisi legata tanto alla (de)legittimazione dei contenuti educativi quanto ad una sorta di incrostazione delle pratiche didattiche. Una risposta a questi problemi venne ricercata, tra l’altro, nel concetto di curricolo proveniente all’epoca dagli Stati Uniti: l’obiettivo era quello di andare oltre i cataloghi di contenuti dei programmi tradizionali, criticati sotto molti punti di vista, per approdare a una nuova didattica basata su obiettivi di apprendimento operazionalizzati. Ciò coincise con un radicale cambiamento del paradigma nella gestione della scuola. Per assicurare la qualità dell’insegnamento si passò dal cosiddetto input, determinante fino a quel momento, al cosiddetto output che, quale espressione dello Zeitgeist, impose gradualmente a tutti i livelli del sistema educativo la prevalenza di una logica della rendicontazione e del controllo. L’emergere del discorso sulle competenze non fece che assecondare questo sviluppo. Le competenze, una nuova cifra costitutiva della comunicazione sociale[2], fornirono altresì una parvenza di modernità a una pedagogia irrigiditasi sugli obiettivi di apprendimento.

2 Concetti, procedure e prassi della riforma: «Lernfeldkonzept», Triplex, CoRe, CO

Nel settore della formazione professionale, in particolare in Germania, gli sviluppi evocati fecero veramente presa in tempi più recenti, a partire dagli anni ’90, e in Svizzera soprattutto con l’avvio delle riforme nel 2004. Riferendosi almeno in parte al Lernfeldkonzept proveniente dalla RFT, entrarono concretamente in gioco tre modelli, ben noti agli addetti ai lavori: prima il cosiddetto Triplex, poi, quale alternativa, l’approccio per risorse e competenze (CoRe) e infine, quale ibridazione strisciante, l’orientamento alle competenze operative (CO).

Il Lernfeldkonzept venne introdotto in Germania nel 1996 dalla Kultusministerkonferenz (KMK) [3]  con un decreto politico-amministrativo, quale unica procedura legittimata per lo sviluppo dei curricoli della formazione professionale. Nell’approccio confluirono, tra le altre, le esigenze derivanti dalla cosiddetta «Handlungsorientierung», l’orientamento all’azione, concretizzatesi soprattutto nell’abbandono del sistema tradizionale delle materie a favore di un’articolazione dei saperi in funzione delle situazioni di lavoro e dei relativi compiti. Nel manuale della KMK il concetto si presenta come segue:

«Rispetto all’insegnamento tradizionale improntato alle materie, il Lernfeldkonzept rappresenta un rovesciamento di prospettiva: il punto di partenza dell’insegnamento non sono più le teorie specifiche di riferimento, per la cui comprensione serviva un’illustrazione attraverso una raccolta possibilmente ampia di esempi pratici. Il punto di partenza è ora costituito da compiti o problemi professionali identificati ed elaborati didatticamente, partendo dal campo d’azione professionale.»  (KMK 2021,11, trad. GG)

La selezione e la strutturazione dei contenuti muovono d’ora in poi dalla logica dell’azione professionale, da cui deriva una precisa sequenza elaborativa: campo d’azionecampo di apprendimentosituazione di apprendimento. Con il concetto di campo di apprendimento (Lernfeld) si mira all’acquisizione di competenze e si preconizza un rinnovamento radicale dell’insegnamento, con modelli improntati all’azione e concepiti sotto forma di appropriate condizioni didattiche che favoriscano esplicitamente la libertà metodologica.

Tuttavia, dopo oltre vent’anni, l’attuazione del concetto è ancora poco convincente. Se il bicchiere è mezzo pieno, numerosi sono i problemi in attesa di soluzioni efficaci: sul piano sia teorico, sia procedurale, sia dell’implementazione con scuole e insegnanti confrontati con esigenze difficili da gestire.

Tuttavia, dopo oltre vent’anni, l’attuazione del concetto è ancora poco convincente. Se il bicchiere è mezzo pieno, numerosi sono i problemi in attesa di soluzioni efficaci: sul piano sia teorico (ad es. il rapporto problematico tra orientamento al sapere scientifico e orientamento alle situazioni, ovvero tra logica del sapere e logica dell’agire), sia procedurale (ad es. il citato passaggio campo d’azionecampo di apprendimentosituazione di apprendimento), sia dell’implementazione con scuole e insegnanti confrontati con esigenze difficili da gestire[4].

Triplex – CoRe – CO

La prima versione (2005)[5]  del già citato Manuale della SEFRI affermava che le persone in formazione debbono essere messe in grado di affrontare «situazioni d’azione» e collegava le riforme al concetto di competenza. Il riferimento, seppur implicito, al Lernfeldkonzept era evidente. D’altro canto venne introdotto Triplex quale primo modello procedurale, ma ci si rese ben presto conto che il suo contributo al raggiungimento degli obiettivi fissati non poteva essere che marginale. Triplex derivava infatti dalla didattica per obiettivi introdotta negli anni 1970, un approccio rigido, fondato sul comportamentismo e sul principio di deduzione con tre livelli di obiettivi: fondamentali, operativi e di prestazione (questi ultimi ‘operazionalizzati’). La procedura era per così dire attuabile a tavolino, senza un necessario riferimento diretto alla realtà del lavoro. Per questa ragione, il manuale metteva già in previsione un’alternativa con il modello CoRe:

«Questo modello sarà ulteriormente sviluppato dall’ISPFP nel corso del 2005 nell’ambito di alcune nuove ordinanze sulla formazione professionale di base. Dopodiché, sarà possibile utilizzarlo come alternativa al metodo Triplex per le riforme future.» (Manuale 2005, 11)

CoRe venne poi già presentato nell’edizione 2006 del manuale. Ciò comportò, tra l’altro, l’introduzione del concetto di situazione quale strumento analitico per lo sviluppo dei curricoli:

«Nella fase iniziale si raccolgono e descrivono situazioni concrete di lavoro in cui si trovano oggi i professionisti qualificati. Le situazioni professionali descritte servono come base per tutti i successivi lavori concernenti il piano di formazione.» (Manuale 2006, 19)

Questa svolta non solo ha segnato il passaggio all’identificazione delle esigenze formative nel campo d’azione e nel processo lavorativo, ma ha anche valorizzato il concetto di situazione per l’intera architettura curricolare e per le attività didattiche[6]. Con CoRe si sono fatti i primi passi verso una logica curricolare che sostituisce, quale imprescindibile punto di partenza, il modello deduttivo per obiettivi di apprendimento con l’attività professionale concreta. L’evidenza della critica alla didattica per obiettivi di apprendimento ha altresì portato all’utilizzo di un nuovo concetto di competenza, secondo cui le persone in formazione sono da dotare con le risorse – conoscenze, capacità, atteggiamenti – necessarie per affrontare le situazioni della vita (professionale). Le risorse prendono il posto degli obiettivi di apprendimento operazionalizzati. Nel contempo, CoRe favorisce curricoli flessibili e adattabili ai percorsi formativi che considerino sia componenti improntate alle competenze (moduli), sia materie tradizionali. Il sapere strutturato sotto forma di materie gode di altrettanta considerazione come le competenze funzionali alle situazioni. L’obiettivo: trovare un equilibrio tra le due logiche del sapere strutturato e dell’azione, da definirsi in base alle esigenze specifiche delle professioni.

Oltre alla descrizione di Triplex, il manuale presentava una descrizione dettagliata di CoRe. In questo modo l’approccio veniva accreditato istituzionalmente, assicurando al processo di riforma un minimo di apertura con un’opzione di scelta.

La constatazione che Triplex non era in grado di soddisfare gli obiettivi mirati, portò poi rapidamente alla sua relativizzazione istituzionale a favore del principio della «Handlungskompetenz-orientierung», dell’orientamento alle competenze operative:

«Per i formatori e le persone in formazione gli atti normativi basati sulle competenze operative sono più chiari e più conformi alla prassi del mondo del lavoro rispetto alle descrizioni basate sugli obiettivi d’apprendimento del modello Triplex spesso utilizzate in passato. Per questo la SEFRI promuove l’utilizzo delle competenze operative, sebbene il ricorso al modello Triplex resti ancora possibile.» (Manuale 2017, 7)

D’altro canto, l’orientamento alle competenze operative non è che una nozione o, nella migliore delle ipotesi, un’enunciazione di aspirazioni, ma non coincide ancora con una procedura per l’elaborazione di curricoli. Si è pertanto cercato di specificarla e svilupparla parlando del modello per competenze operative (CO):

«Sviluppato sulla base del modello Triplex, il modello CO prevede la suddivisione delle competenze operative in quattro dimensioni: competenza professionale, metodologica, sociale e personale. Le competenze operative vengono specificate sotto forma di obiettivi di valutazione e associate ai luoghi di formazione. Tramite questi obiettivi viene definito il livello necessario per adempiere le singole competenze operative.» (Manuale 2017, 7)

Gianni Ghisla in occasione dell’apertura della SUFFP del libro Didattica e situazioni. Ghisla è coeditore dell’opera. Nella foto da sinistra: Stephan Schori, dott.ssa Laura Perret Ducommun, dott.ssa Barbara Fontanellaz, dott. Gianni Ghisla, Georg Berger. Foto: SUFFP

Le scelte terminologiche sono rivelatrici: «Le competenze operative vengono specificate sotto forma di obiettivi di valutazione e associate ai luoghi di formazione.» (evid. GG) CO ha di fatto incorporato Triplex, alle competenze si attribuisce il ruolo degli obiettivi di prestazione, e sia l’operazionalizzazione sia i tre livelli vengono mantenuti. Da un punto di vista didattico, è inoltre fondamentale che gli obiettivi di valutazione del terzo livello debbano essere gerarchizzati secondo la tassonomia di Bloom.

Ciò nonostante, il disagio di fronte alla fragilità concettuale e contenutistica del modello CO non è eclissabile, soprattutto alla luce delle esigenze poste ad una concezione della formazione professionale improntata all’agire. Pragmaticamente, quindi, si procede a un’importante estensione del modello. Dalla definizione originaria di «competenza d’azione» (è ritenuta competente «una persona che svolge compiti e attività professionali di propria iniziativa, in modo orientato agli obiettivi, professionale e flessibile» / Manuale 2017), si passa con non poca nonchalance ad una definizione secondo cui una persona «[…] deve essere in grado di utilizzare risorse specifiche in modo appropriato alla situazione» (evid. nell’originale[7]):

«Una persona è competente se utilizza o attiva a) le risorse giuste b) in una combinazione sensata e c) in modo adeguato». (ibid)

In questo modo, la nozione di situazione e la definizione di competenza di CoRe vengono integrate nel concetto di CO. L’ibridazione si completa: dagli orientamenti all’azione qua Lernfeldkonzept, agli obiettivi di apprendimento secondo Triplex e alle situazioni secondo CoRe emerge infine CO. Da un punto di vista pragmatico ed eclettico l’operazione è legittima. Resta tuttavia da vedere se ne risulta un modello in grado di soddisfare le esigenze minime dei progetti di riforma sui piani teorico, concettuale e soprattutto dell’attuazione pratica[8]. Verosimilmente non è un caso che il modello non venga discusso in modo approfondito in nessuna pubblicazione accessibile[9]. Non è nemmeno casuale che, quasi come effetto collaterale dell’orientamento all’agire, si stia profilando la fine del sapere strutturato. Secondo il modello CO, le materie vengono sostituite con «competenze operative interrelate» e delimitate da cosiddetti «campi di competenze operative». Questi servono «[…] da unità strutturali della formazione nei tre luoghi deputati e delle procedure di qualificazione.» (evid. GG, Manuale 2017, 19)

Secondo questa logica, la conoscenza non ha più valore in sé, ma viene vista esclusivamente in funzione della sua applicazione, il che si traduce sottilmente nell’economizzazione diffusa della scuola e della formazione.

Negli ultimi decenni, le riforme curricolari sono state perlopiù improntate alla stessa logica in tutto il sistema educativo svizzero[10]. Secondo questa logica, la conoscenza non ha più valore in sé, ma viene vista esclusivamente in funzione della sua applicazione, il che si traduce sottilmente nell’economizzazione diffusa della scuola e della formazione. Nella formazione professionale questo processo è veicolato dall’applicazione del modello CO. La SEFRI ha emanato un corrispondente decreto amministrativo sotto forma di precise linee guida per le ordinanze e per i piani di formazione.  Queste linee guida sanciscono non solo la formulazione di obiettivi di apprendimento secondo Triplex e la classificazione tassonomica, ma anche l’assoluta rinuncia alle materie tradizionali (con la relativa denominazione). Deroghe a queste disposizioni sono ovviamente difficili da immaginare, anche quali eccezioni. Infatti anche la possibile alternativa, il modello CoRe, non è più disponibile da tempo sul sito della SEFRI [11].

Le commissioni per lo sviluppo professionale e la qualità (SP&Q) delle singole professioni, responsabili della revisione e degli adattamenti, non hanno quindi di fatto la possibilità, anche se lo volessero, di orientarsi diversamente. Il loro lavoro non è peraltro facilitato dall’inesistenza di studi (comparativi) o risultati di indagini empiriche relativamente al successo e all’efficacia tanto delle revisioni quanto degli approcci utilizzati[12], [13].

3 Che fare? Ragioni e proposte

Questa sommaria ricostruzione delle riforme curricolari può fornire, da un lato, un contributo alla riflessione critica e, dall’altro, indicare alcuni ambiti per i quali si pone la questione del «che fare?» Di seguito ne vengono abbozzati tre e corredati con alcune idee.

Modelli e approcci curricolari: ritorno all’auspicata diversificazione

Quando, come in questo caso, con le riforme si percorrono perlopiù strade nuove, incertezze e problemi rientrano nella natura delle cose. La mancanza di modelli e procedure validati scientificamente, una comunità accademica in ambito pedagogico poco interessata, ma anche una realtà complessa con molteplici interessi non hanno facilitato la concezione e il controllo amministrativo dello sviluppo dei nuovi curricoli da parte della SEFRI. Ciò permette di capire perché l’apertura auspicata in origine si sia progressivamente contratta e il crescente predominio del modello CO stia mettendo a repentaglio quella diversità curricolare e didattica di per sé auspicata.

I concetti e i modelli curricolari non sono neutri, né dal punto di vista pedagogico né da quello didattico. Essi rappresentano concezioni del lavoro, dell’insegnamento e dell’apprendimento, anzi a ben vedere sono espressioni dello Zeitgeist e delle sue tendenze. Dal punto di vista della politica formativa è perciò particolarmente importante che, nell’ottica dello sviluppo delle professioni e della qualità, venga assicurato un minimo di apertura e diversità nei paradigmi curriculari a cui si fa ricorso. La formazione professionale deve permettere alle persone in formazione un livello di qualifica elevato e comparabile in tutto il Paese. Ciò pone anche dei limiti alla diversificazione, che può tuttavia essere assicurata con criteri e standard di qualità, in parte già esistenti.

Se oggi è evidente che la formazione professionale presuppone l’acquisizione di competenze, il modo in cui queste vengono definite, identificate, descritte e, soprattutto, implementate nei Piani di formazione e nell’insegnamento può variare notevolmente. Sul piano formale le competenze son definibili e inventariabili in modo uniforme nelle Ordinanze, ma è fondamentale che la strutturazione dei Piani di formazione goda di una sufficiente libertà d’impostazione. Le linee guida della SEFRI attualmente disponibili (status al 2.5.2019) fanno riferimento esclusivamente al modello CO e ai relativi concetti didattici, in particolare ad una focalizzazione sugli obiettivi di apprendimento rigida e vincolata ad una dettagliata operazionalizzazione.

Le cosiddette linee guida potrebbero essere impostate senza problemi in modo più aperto. E anche il necessario supporto alle commissioni SP&Q non costituirebbe un problema particolare, senz’altro assicurabile con esemplificazioni, manuali e un appropriato accompagnamento

Il sapere insegnato: trovare forme flessibili, equilibrate e complementari

Lo sviluppo degli ultimi anni ha fatto dei cosiddetti campi di competenze operative l’unità strutturante pressoché unica dei Piani di formazione.

Lo sviluppo degli ultimi anni ha fatto dei cosiddetti campi di competenze operative l’unità strutturante pressoché unica dei Piani di formazione. Il sapere strutturato nella forma delle materie tradizionali è in procinto di essere fatalmente emarginato. Per quanto giustificata possa essere la critica alle forme tradizionali dell’insegnamento, tra l’altro in ragione di una certa inerzia e di una certa resistenza al transfer della conoscenza, il voler trascurare strutturalmente tali forme è problematico e improvvido, come lo è l’assolutizzazione dell’orientamento all’azione e alle situazioni.

Di contro, sarebbe saggio cercare modalità e forme di strutturazione dei contenuti nei Piani di formazione che siano equilibrate, flessibili e complementari. In questo modo si potrebbe preservare il valore intrinseco, estetico e ludico della conoscenza, senza trascurare il suo uso strumentale e abbandonare a sé stesso l’homo faber. Il sapere è sia affascinante sia utile: la formazione professionale si trova in una straordinaria posizione di privilegio per poter rendere conto ad entrambe le dimensioni.

Ma anche gli insegnanti si attendono disponibilità. È noto che trasmettere conoscenza in funzione dell’agire e delle situazioni rappresenta una delle più grandi sfide didattiche. E per la formazione degli stessi insegnanti, il mantenimento delle materie tradizionali, fondate epistemologicamente, è una precondizione di cui difficilmente si potrà fare a meno.

L’Ordinanza sulla formazione professionale (OFPr, 2003/status 1.4.2022) offre condizioni ottimali a questo riguardo. Al riguardo dei contenuti, stabilisce (art. 12) che le Ordinanze delle singole professioni regolano «le possibili forme di organizzazione della formazione per quanto concerne la trasmissione delle conoscenze e la maturità personale richiesta per l’esercizio di un’attività».

Le attuali Linee guida Queste Linee della SEFRI concernenti le Ordinanze della formazione professionale (status 1.9.2021[14]) sono estremamente restrittive e dispongono che il numero di lezioni per le scuole professionali venga specificato esclusivamente per i singoli campi di competenza operativa. Le materie, ad eccezione dello sport, non sono più previste. Tali Linee guida potrebbero essere facilmente allentate, e nel pieno rispetto della base normativa. In questo modo sarebbe nuovamente possibile una combinazione di campi di competenza operativa e materie ragionevole e flessibile, da stabilirsi in base ai requisiti e alle esigenze delle singole professioni.

Valutazione delle riforme: indagini empiriche e approfondimenti teorici

Lo sviluppo delle professioni necessita di un dibattito critico e della capacità di instaurare un dialogo costruttivo tra i vari attori, sia al di là dei settori professionali sia, cosa particolarmente importante nel nostro Paese, oltre i confini linguistici regionali. Affinché ciò sia possibile occorrono delle basi possibilmente ampie. Dall’entrata in vigore della nuova Legge sulla formazione professionale, in vent’anni sono stati compiuti enormi sforzi per rinnovare la formazione professionale (di base) e per adattarla alle elevate esigenze future. È giunta l’ora di gettare uno sguardo critico e valutativo sull’insieme di queste esperienze. Tranne poche eccezioni infatti, non sono state effettuate valutazioni sistematiche e indagini empiriche sulle riforme, sullo sviluppo e sull’implementazione delle Ordinanze e dei Piani di formazione, così come non sono stati elaborati approfondimenti o contributi critici.

Sarebbe quindi più che opportuno avviare progetti di ricerca e analisi mirati sulle basi teoriche, sullo sviluppo delle procedure e sull’implementazione dei curricoli.

Sarebbe quindi più che opportuno avviare progetti di ricerca e analisi mirati sulle basi teoriche, sullo sviluppo delle procedure e sull’implementazione dei curricoli. Indispensabili sono studi sia specifici sulle singole professioni sia, in particolare, comparativi, che permettano ad esempio di inquadrare i problemi incontrati nello sviluppo e nella messa in atto dei curricoli, così come le valutazioni e le aspettative degli attori coinvolti (OML, luoghi di apprendimento, insegnanti,…) e i successi delle persone in formazione. Si dovrebbero anche analizzare le esperienze e il materiale accumulato dalle commissioni SP&Q. Una tale valutazione della situazione dovrebbe attuarsi ad ampio raggio e costituire una sfida per la ricerca sulla formazione professionale. I vent’anni della Legge sulla formazione professionale sono in tal senso un’occasione da non mancare.

[1] Questo contributo si basa sullo studio seguente,  disponibile online: Ghisla, G. Curriculare Architekturen: Lernfeldkonzept – CoRe – HKO-Modell. Kritische Gedanken zum Durchbruch der ökonomischen Logik und der Kontrolllogik in der schweizerischen Berufsbildung. Extra-Onlineausgabe mit Texten zum Buch: Ghisla, G. et al. (2022) Didaktik und Situationen Ansätze und Erfahrungen für die Berufsbildung. hep Verlag

[2] Künzli, R. (2016). Verschiebungen der gesellschaftlichen Bildungserwartungen. Zur «Kompetenz» als gesellschaftliche Verständigungsformel. (15.12.2022)

[3] Conferenza permanente dei Ministri dell’Istruzione e degli Affari Culturali dei Länder della Repubblica Federale Tedesca.

[4] Si vedano le osservazioni critiche sul Lernfeldkonzept e sulla sua implementazione:
• Reinisch, H. (1999): Probleme «lernfeldorientierter» Curriculumentwicklung und -implementation. Eine historisch-systematische Analyse aus wirtschaftspädagogischer Sicht. In: Huisinga, R./ Lisop, I./ Speier, H.-D. (Hrsg.): Lernfeldorientierung. Konstruktion und Unterrichtspraxis. Frankfurt a. M., 85-119.
• Tramm, T., Kremer, H. & Ralf Tenberg (Hrsg.): Lernfeldansatz – 15 Jahre danach. bwp@, Ausgabe 20, 2011 (bwpat.de).
• Riedel, A. & Schelten (2013). Grundbegriffe der Pädagogik und Didaktik beruflicher Bildung. Franz Steiner Verlag. Stuttgart
• Backes-Haase, A. & Bathelt, M. Lernfeld Innovation? Eine Bilanz nach 20 Jahren mit Fokus auf das Verhältnis von Fach- und Handlungssystematik. Wirtschaft & Erziehung (2016) 4, S. 123-128

[5] L’ultima versione del Manuale (2017) si trova sul sito della SEFRI (20.12.2022)

[6] Cfr. nel merito il concetto di Didattica per situazioni presentato in maniera articolata nel volume: Ghisla, G. et al. Didaktik und Situationen (hep Verlag 2022). (Di prossima pubblicazione in italiano)

[7] La definizione è stata applicata nell’ambito dell’ampio progetto «Implementazione dell’orientamento alle competenze» commissionato dalla Conferenza svizzera degli uffici della formazione professionale (CSFP) nel 2017, supportato dalla SEFRI e realizzato dalla SUFFP. La documentazione ufficiale (informazioni e questionario) è disponibile sul sito della CSFP in tedesco e francese. (20.12.2022)

I risultati dell’indagini sono stati elaborati in un rapporto, disponibile in tedesco: Schuler, M. & Wettstein, F. (2020). Ergebnisbericht. Zur Standortbestimmung HKO für Lehrpersonen und Schulkader. EHB. (20.12.2022)

[8] Con riferimento alla riforma del settore commerciale, Rolf Dubs, uno dei doyens della formazione professionale svizzera, parla di un «errore di costruzione fondamentale». Cfr. Grundlegender Konstruktionsmangel: Zur Reform Kaufleute 2022. In: Transfer, (3/2021), SGAB. 15.12.2022. In relazione all’applicazione dogmatica della didattica per obiettivi, Dieter Euler lamenta la deprofessionalizzazione degli insegnanti. Cfr. Euler, D. (2016). Lehrpersonen in der Berufsbildung auf dem Weg zur Deprofessionalisierung? Folio, August 2016

[9] L’autore non è in ogni caso a conoscenza di pubblicazioni di ampia portata di questo genere. R. Dörig ha quantomeno discusso l’approccio didattico orientato all’azione: cfr. Dörig, R., 2006. Gestaltung der Lernpotenziale in spezifischen Lernkontexten (schulische Akzentuierung. In: Euler, D. (Hrsg.). Facetten des beruflichen Lernens. hep. 315-350. Un’eccezione è rappresentata da Schori Bondeli, R. et al., che tracciano una base specificamente per l’insegnamento della Cultura generale: cfr. Schori Bondeli, R. et al. (2017): Unser Leben-Unsere Welt-Unsere Sprachen. Quality Teaching im allgemeinbildenden Unterricht. ABU an den Berufsfachschulen. hep). La vaghezza concettuale e il fragile fondamento teorico delle definizioni e del modello CO sono abbastanza evidenti. Rivelatori nel merito sono termini e definizioni utilizzati nel citato studio «Implementazione dell’orientamento alle competenze».

[10] Ciò può essere dimostrato grazie alla ricostruzione di casi particolarmente significativi come il Lehrplan 21 della scuola dell’obbligo o, nell’ambito della formazione professionale, della formazione commerciale e del settore sanitario o anche dell’evoluzione avvenuta per gli/le Assistenti di farmacia. Quest’ultimo caso è particolarmente interessante perché segna il passaggio da CoRe a CO. Un’analisi differenziata di questi esempi non è possibile in questo contributo, ma viene esposta nell’articolo di base citato all’inizio (nota 1).

[11] Il fatto che il CoRe venga per così dire marginalizzato può naturalmente avere molte ragioni, che hanno a che fare anche con l’approccio stesso. Ma proprio per questo motivo, una discussione critica sulla base di dati sarebbe più che necessaria.

[12] Non esistono nemmeno studi noti o comunque accessibili che abbiano esaminato le relazioni e le argomentazioni delle domande inoltrate da parte delle Organizzazioni del mondo del lavoro (OML).

[13] Questa situazione è completata dal fatto che gli uffici di consulenza privati sorti negli ultimi anni hanno scarso interesse ad applicare procedure diverse da quelle predisposte dalla SEFRI. Cercano infatti di acquisire vantaggi con prodotti digitalizzati à la carte, cosa ben più facile da realizzarsi sulla base degli obiettivi operazionalizzati secondo Triplex piuttosto che con approcci più complessi.

[14] Anche le indicazioni di supporto alle linee guida sono altrettanto limitanti.

Citazione

Ghisla, G. (2023). Oltre un approccio per tentativi ed errori. Transfer. Formazione professionale in ricerca e pratica 8(1).

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